La giornata di ieri ha segnato una delle pagine più dure della recente storia italiana, con la presa di coscienza collettiva di come sia in atto una pesante cessione di sovranità non verso entità politiche internazionali (come consente l’Articolo 11 della Costituzione) ma verso istituti finanziari. Nelle ultime due settimane siamo stati pesantemente criticati da tutta la stampa estera (e nello specifico insultati da quella tedesca) solo perché si è paventato un governo che potesse rimettere in discussione le regole interne all’Europa o addirittura rompere il giocattolo euro, al cui gioco sembrano divertirsi solo francesi e tedeschi.
Come sappiamo dall’Articolo 92 della Costituzione, “Il Presidente della Repubblica nomina il Presidente del Consiglio dei Ministri e, su proposta di questo, i Ministri”. La sua funzione è quella di vigilare che il nuovo governo non adotti chiare posizioni anticostituzionali. Tuttavia, nello scarno discorso pronunciato ieri da Mattarella, non ho sentito citare una sola norma anticostituzionale nel Contratto del nascente governo (che non fa riferimenti all’uscita dall’Euro), né si è chiarito in cosa la figura scartata per il Ministero dell’Economia potesse contravvenire alla Carta Costituzionale. Si è fatto piuttosto un appello ai risparmi degli italiani, all’allarme degli investitori e “all’impennata dello SPREAD” che, “giorno dopo giorno, aumenta il debito pubblico”. Tutte affermazioni che, pronunciate così, sembrano cadere come un atto d’accusa tremendo sul nuovo governo il quale, ancor prima di nascere, si è già macchiato di colpe indicibili.
L’invito, infine, a parlare in maniera approfondita della “questione Euro” suona oltremodo ambiguo, considerato che viene pronunciato nello stesso momento in cui si nega il Ministero ad una figura che avrebbe davvero avuto la capacità di negoziare quei trattati.
Come ha sottolineato il presidente emerito della Corte Costituzionale Valerio Onida: “Mattarella è andato contro l’idea che il nostro sistema è un sistema parlamentare. Se avesse avuto obiezioni in merito al programma di governo, avrebbe potuto farlo presente, rilevando aspetti di incostituzionalità. Ma non si è opposto per nulla al contratto di governo. Si è opposto solo a una persona, temendo che potesse mettere in pericolo la stabilità dei mercati finanziari, e la difesa dei risparmiatori. Così facendo si dà ai creditori dello Stato un potere immenso, che va al di là delle obbligazioni di un debitore. Un debitore non può diventare così politicamente asservito da accettare ingerenza sulla maggioranza.”(1).
In questo clima di profonda incertezza, potrebbe tornare utile rileggere una delle ultime interviste rilasciate per Repubblica da Luciano Gallino, eminente sociologo scomparso nel 2015, che più volte si era pronunciato contro l’assenza di democrazia e di equità all’interno del sistema Europa. Di seguito l’intervista integrale(2).
L’Italia ha due buoni motivi per uscire dall’euro, un tema di cui si parla ormai in tutta Europa (Germania compresa). Il primo è che, sovrapponendosi alle debolezze strutturali della nostra economia, l’euro si è rivelato una camicia di forza idonea solo a comprimere i salari, peggiorare le condizioni di lavoro, tagliare la spesa per la protezione sociale, soffocare la ricerca, gli investimenti e l’innovazione tecnologica e, alla fine, rendere impossibile qualsiasi politica progressista. Risultato: otto anni di recessione, che hanno provocato la perdita di quasi 300 miliardi di PIL al 2014 rispetto alle previsioni del 2007; 25% di produzione industriale in meno, un mercato del lavoro di cui è difficile dire quale sia l’aspetto peggiore fra tre milioni di disoccupati, tre-quattro di precari e due o tre di occupati in nero. Grazie ai quali l’Italia detiene il primato dell’economia sommersa tra i Paesi sviluppati, pari al 27% del PIL e circa 200 miliardi di redditi non dichiarati. I costi economici e sociali dell’euro superano i vantaggi.
Il secondo motivo per uscire dall’euro è l’eccessivo ammontare del debito pubblico, il che rende di fatto impossibile per l’Italia far fronte agli oneri previsti dal cosiddetto Fiscal compact e a una delle clausole fondamentali dell’Unione economica e monetaria. Il Fiscal compact prevede infatti che in vent’anni dal 2016 il rapporto debito/ PIL, che si aggira oggi sul 138%, dovrebbe scendere al 60, limite obbligatorio per far parte dell’eurozona. In tale periodo detto rapporto dovrebbe quindi scendere di 78 punti, cioè 3,9 l’anno. In termini assoluti si dovrebbe passare dal rapporto 2200/1580 miliardi di oggi a 948/1580 nel 2035 (da convertire nel rispettivo valore del ventesimo anno).
Vi sono solo due modi di raggiungere tale risultato, e infinite combinazioni intermedie che però non lo cambiano: o il PIL cresce di oltre il 5% l’anno per un ventennio, o il debito pubblico scende di oltre 3 punti percentuali l’anno. Tenuto conto che le ipotesi più ottimistiche di crescita del PIL per i prossimi anni si collocano tra l’1 e il 2% l’anno, e che il servizio del debito — 95 miliardi nel 2015 — continuerà a ingoiare decine di miliardi l’anno, ambedue le ipotesi non sono concepibili. In altre parole è impossibile che l’Italia riesca a rispettare il Fiscal compact. L’Italia si ritrova così nella condizione degli Stati membri della UE che attendono di entrare nell’eurozona perché debbono soddisfare alcune clausole previste dal trattato sull’Unione economica e monetaria. Come dire che l’Italia è tecnicamente già fuori dall’eurozona, poiché non è in condizione di soddisfare a una delle clausole chiave: un rapporto debito pubblico/PIL non superiore al 60%. Tale situazione dovrebbe essere invocata per recedere dall’eurozona.
Non sono necessari sfracelli per arrivare a tanto. Basta far ricorso all’articolo 50 del Trattato sull’Unione Europea, comprendente le modifiche introdotte dal Trattato di Lisbona il 1° gennaio 2009. Esso stabilisce che “ogni Stato membro può decidere, conformemente alle proprie norme costituzionali, di recedere dall’Unione” (paragrafo 1). Il paragrafo 2 precisa quali vie il procedimento di recesso deve seguire. Lo Stato che decide di recedere notifica l’intenzione al Consiglio europeo. L’Unione negozia e conclude un accordo sulle modalità del recesso. L’accordo è concluso dal Consiglio a nome dell’Unione.
Dalla lettura dell’art. 50 si possono trarre alcune considerazioni: a) la recessione avviene dopo un negoziato; b) il negoziato è condotto sotto l’autorità del Consiglio europeo, organo politico; c) è dato presumere che quando uno Stato notifica l’intenzione di recedere, determinate misure tecniche, tipo un blocco temporaneo all’esportazione di capitali dallo Stato recedente, siano già state predisposte in modo riservato.
Mentre l’art. 50 ha posto fine all’idea che la partecipazione all’Unione sia per sempre irrevocabile per vie legali, qualche dubbio sussiste sulla possibilità di recedere dalla UEM — la veste giuridica dell’euro — senza uscire dalla UE, poiché l’articolo in questione menziona soltanto questa. Peraltro la letteratura giuridica ha ormai sciolto ogni dubbio: poiché il trattato sulla UEM è soltanto una parte della struttura giuridica della UE — esistono Stati membri della UE ma non dell’eurozona — è arduo negare il principio per cui uno Stato membro possa recedere dalla UEM ma non dalla UE. Per cui il negoziato per l’uscita dall’euro dovrebbe aprirsi con la dichiarazione di voler restare nella UE. I costi per la recessione dalla UE sarebbero superiori ai costi di una sola uscita dall’eurozona. Uno Stato che uscisse oggi dall’UE si troverebbe dinanzi ad altri 27 Stati, ciascuno dei quali potrebbe imporgli ogni sorta di restrizioni al commercio, oneri doganali, aumenti del prezzo di beni e servizi. L’impossibilità di accedere ai mercati UE costringerebbe uno Stato ad affrontare costi di entità paurosa.
Resta da chiedersi dove stia il governo capace di condurre un negoziato per la recessione dell’Italia dall’eurozona in base all’art. 50 del Trattato sulla UE. L’attuale, come quasi tutti i precedenti, è un esecutore dei dettati di Bruxelles, Francoforte, Berlino. Chiedergli di aprire un negoziato per uscire dall’euro non ha senso. Si può coltivare una speranza. Che si arrivi a nuove elezioni, dove ciò che significa recedere dall’euro in termini di ritorno della politica a temi quali la piena occupazione, la politica industriale, la difesa dello stato sociale, una società meno disuguale, sia al centro del programma elettorale di qualche emergente formazione politica. Prima di cedere alla disperazione, bisogna pur credere di poter fare qualcosa.
(1) https://www.milanofinanza.it/news/onida-la-scelta-di-mattarella-impropria-201805281158436302
Parli di un discorso scarno di Mattarella e fai riferimento al contratto del nascente governo. Spero che tu abbia letto tale contratto. Personalmente mi sono divertito tanto nel leggerlo, 58 pagine che definire vuote sarebbe anche troppo. Al contrario il discorso di Mattarella mi è sembrato tutt’altro che scarno. C’era un’idea ben precisa, magari un’idea che non condividi, ma a mio avviso espressa chiaramente. Qualche settimana fa Di Maio ha chiaramente detto che “Mattarella sceglie i ministri”. Il Presidente della Repubblica è buono solo per mettere una firma?
Non conosco il tedesco quindi non posso valutare gli insulti di cui parli, ma basta leggere i giornali italiani (fatto quotidiano, il giornale, etc) per trovare insulti verso la Germania e la Francia. Sull’articolo che hai postato, si parla dei buoni motivi per uscire (condivisibili o meno), non ci sono quindi buoni motivi per restare?
Premesso che il mio articolo esprime il mio privato punto di vista e non parlo certo a nome tuo né a nome degli Italiani, credo tu stia parlando di una cosa diversa da quello che è il tema da me scelto. Ovvero mi porti ad entrare nel merito di tutto il Contratto proposto da questo strano mostro a due teste che era il governo cosiddetto “gialloverde” (che già dal colore lasciava intuire che aveva vita breve!). Possiamo entrare nel merito dei singoli punti, ma ti direi una bugia se dicessi che per ciascuno di questi potrei fare una argomentazione valida.
Il punto è un altro. E’ la legittimità di un voto e la legittimità di una maggioranza politica. E’ il ritornare a dare nelle mani degli esponenti politici il controllo dello Stato. Io non amo la democrazia rappresentativa, ma è quello che abbiamo, e non vedo perché il voto che ha premiato quei due partiti debba essere ritenuto meno valido di quello che ha portato alla vittoria per anni Berlusconi o i suoi falsi antagonisti.
Capisco che siamo tutti mossi a compassione per Mattarella, ma sinceramente trovo quello che ha fatto fuori dalle sue mansioni, perché nel discorso fatto ci saranno anche state delle idee, ma non c’era nessun riferimento a presunte incostituzionalità, quanto piuttosto delle valutazioni politiche, cosa che lui non dovrebbe fare. E questo non lo dico io, lo dice la legge. Il presidente è una figura neutra e imparziale, che non significa un mero esecutore né uno scribacchino, significa non fare scelte che possano favorire delle fazioni.
Riguardo all’articolo di Gallino non so che aggiungere, mi sembra abbastanza chiara l’analisi.
PS. per gli insulti tedeschi basta ascoltare RadioTre Mondo, puoi ascoltarla in Francia come io l’ascolto in Inghilterra, traducono gli articoli per te! 😛
Visto che l’analisi di Giallino è chiara, presentami un’analisi altrettanto chiara della situazione italiana negli anni ottanta/novanta riguardo tali temi: “comprimere i salari, peggiorare le condizioni di lavoro, tagliare la spesa per la protezione sociale, soffocare la ricerca, gli investimenti e l’innovazione tecnologica e, alla fine, rendere impossibile qualsiasi politica progressista.”
Sulla legittimità, ti ricordo che Conte non è stato votato e che la maggior parte dei votanti M5S e Lega probabilmente non conosceva nemmeno il suo nome fino a una settimana fa. Il capo dello stato dovrebbe quindi firmare la lista proposta senza poter dire nulla?
La risposta è no. Il Presidente della Repubblica non ratifica ma concorda, se non c’è accordo non c’entra nulla tirare in ballo come degli automi la legittimità del voto.
Conte non può proporre nessun altro? C’è solo un economista in Italia?
Sulla legittimità di un Presidente del Consiglio “non votato”: non è scritto da nessuna parte che debba essere votato (nonostante l’elettorato, in campagna elettorale, sia portato a credere che sia così)
Ripartiamo. Gallino (non giallino, quello era il governo) ha fatto un’analisi in cui diceva che la politica monetaria dell’Europa non lasciava speranze all’Italia in quanto, cito, “è tecnicamente già fuori dall’eurozona, poiché non è in condizione di soddisfare a una delle clausole chiave”. E’ un po’ come quando ti iscrivi con riserva all’Università e devi dare un tot di esami entro il primo anno. Ecco, l’Italia quel primo anno (stando alle sue analisi) non riuscirà a passarlo. Opinione condivisibile o meno. Se non la condividi sta a te dire perché, non devo certo dirtelo io, né portare io documenti che sostengono la tua tesi. Io, per quel poco che so di economia, mi sento di condividerla.
Riguardo al resto, giri attorno al punto e, mosso da una acredine che non mi spiego, tiri dentro aspetti diversi. Io non ho affatto detto che il Presidente serve solo a ratificare, quanto che nello svolgere la sua funzione deve essere imparziale. Cosa che per me non ha fatto, per i motivi già detti.
Riccardo, con questa frase mi lasci senza parole:
“Se non la condividi sta a te dire perché, non devo certo dirtelo io, né portare io documenti che sostengono la tua tesi.”
Quindi chi scrive per primo ha il diritto di dire tutto ciò che vuole senza dover dimostrare nulla? Ti posso dire che in ambito scientifico (e credo proprio che tu lo sappia) non funziona proprio in questo modo.
In ogni caso cerca di non pontificare. Nel tuo post iniziale hai parlato di contratto, di legittimità e di euro, hai aperto tanti temi, e io tiro dentro alcuni dei temi che hai aperto tu.
Concordo solo con una parte di questo articolo, quella che fa notare come Mattarella avrebbe dovuto fare qualcosa prima della proposta dei ministri. Il programma del famoso contratto era una semplice accozzaglia di promesse elettorali irrealizzabili. Come diceva una vecchia pubblicità, di tutto di più. I tagli fiscali della Lega e la spesa pubblica del Movimento. All’ovvia domanda sul dove avrebbero trovato le decine di miliardi di euro necessari alla copertura di queste spese la risposta involontariamente comica è sempre stata “stimolando i consumi interni”. Tutto ciò è anticostituzionale ai sensi degli articoli 81, 97, 117 e 119 che fanno riferimento al pareggio di bilancio. Data l’eccezionalità della crisi Mattarella ha sorvolato su queste assurdità del programma, ha accettato un premier fantoccio senza alcuna esperienza pregressa, ha sopportato ottanta giorni di balletti quando tutti sapevamo che l’unica alleanza possibile era quella giallo-verde. Inoltre ha accettato tutti i ministri tranne uno, ha proposto di spacchettare finanze e tesoro dando le prime a Savona, ha proposto il vice-Salvini ma niente. La Lega ha forzato oltre ogni limite con lo scopo di andare a nuove elezioni che vincerà stavolta con la coalizione di centrodestra, mentre i grillini li hanno aiutati facendo la parte dei polli e perdendo voti nell’elettorato di sinistra che ha visto l’alleanza con un partito xenofobo. Questo è quanto accaduto in sostanza e in ogni caso meglio tardi che mai e grazie Mattarella.
Due parole anche sull’abusato concetto di “sovranità”. L’Italia ha un gigantesco debito pubblico accumulato per massima parte negli anni ’80 quando erano in voga allegre politiche economiche antenate di quelle oggi contenute nel famoso contratto. Questo fa sì che l’Italia si mantenga su una quantità di prestiti finanziari e che coloro i quali ci sono creditori hanno interesse a che le cose da noi non vadano a rotoli. Questo per dire di come la sovranità c’entri poco. I paesi che non hanno questo macigno in termini di debito pubblico non hanno questa pressione. Qualcosa di simpatico? certo no. Qualcosa di giusto? è un discorso complesso. Alternative ci sono? Al momento no dato che è un sistema strutturato mondiale di capitalismo finanziario che certo non si abbatte facendo precipitare l’Italia nel caos. Inoltre, non sono stati loro a costringerci a prendere soldi in prestito. La sovranità, dice l’articolo 1 della Costituzione, appartiene al popolo che la esercita nella forma e nei limiti della Costituzione. Mattarella, eletto dal parlamento votato dai cittadini, nel pieno delle sue funzioni, ha giudicato pericoloso dare un segnale negativo ai nostri creditori. La sovranità è pienamente rispettata, semplicemente deve fare i conti con una situazione debitoria tra le più alte e pericolose d’Europa. Avete mai visto un paese scandinavo o del Benelux avere questi problemi? No, e probabilmente non è a causa del fatto che sono più simpatici o che hanno presidenti che difendono meglio la loro sovranità.
In Italia non vanno buttati altri miliardi per finanziare le flat tax per i ricchi, va pensata e messa in atto una ristrutturazione della spesa pubblica per spostare risorse in centri nevralgici, migliorare i servizi e diminuire la spesa. Un’operazione che richiederebbe tempo e non certo l’irresponsabilità degli urlatori di professione, dei venditori di facili dicotomie tra noi buoni e i cattivi tedeschi ed europei, dei blateratori di impicciment e rivoluzioni in piazza. Ma al momento questi sembrano andare per la maggiore.